UNA COMUNITA’ ANCORA IN CAMMINO

– Peli 8 Settembre 2013 – Discorso di Manuela Bruschini:

Nove anni orsono il comitato ‘Comandante Muro dell’A.N.P.I.’ ha iniziato ad organizzare a Peli, con la fiducia e il sostegno sempre convinto dei partigiani e di tutta l’ANPI provinciale, questa festa per ricordare il Comandante Canzi.

Eravamo tutti molto più giovani quando abbiamo iniziato, e ci ha spinti all’inizio una curiosità, un’intuizione. Molti di noi sapevano poco, di Canzi e della storia della Resistenza locale, e poco o nulla della gente di questa montagna, quando abbiamo iniziato. Siamo letteralmente cresciuti organizzando questa festa, e abbiamo imparato a conoscere, e riconoscere, molti elementi della storia comune che adesso sono parte del nostro vissuto intimo.Quello che ci ha spinti a interessarci di Canzi, e di seguito a tanti altri aspetti della resistenza piacentina, è la stessa cosa che ci ha convinti, ogni anno di più, della necessità di dare nuova linfa alla lezione della resistenza partigiana, occupandoci dell’oggi, di nuove e sempre più complesse ‘resistenze’: la percezione di uno sfondo comune, un idem sentire che andava però esplicitato, declinato, fondato sulla conoscenza dei fatti e sul rapporto diretto con i protagonisti di una storia che sentivamo istintivamente nostra, ma di cui avevamo bisogno di riappropriarci compiutamente.

Penso di poter dire che, oggi, questa riappropriazione è in fase avanzata di maturazione, e che questa esperienza ci ha cambiati come persone: e’ forse proprio questa la lezione più importante che abbiamo appreso dal nostro Comandante. Abbiamo goduto di un esempio, tenuto vivo e consegnato da questa comunità e dalla sua gente, che ci ha ispirati: la lezione e’ quella della coincidenza tra pensiero e azione, del sovrapporsi necessario tra visione politica e comportamento morale. E’ una lezione etica, personale, ancora prima che politica, e per questo risulta tanto più preziosa. Canzi era, prima di tutto, una persona profondamente umana, e consapevole della necessità di trovare una sintesi tra esperienze politiche e umane molto diverse, spesso anche divergenti. Era una persona profondamente realista, pratica, che agiva concretamente però senza perdere di vista obiettivi e aspirazioni di carattere universale, e senza mai derogare ai propri principi.

Non e’ per nulla semplice stare al mondo se si e’ persone di questo tipo, e infatti la vita di Canzi non e’ stata mai semplice: nato nel nel 1893 da una famiglia normale, di impiegati, Emilio Canzi viene chiamato alle armi nella prima Guerra mondiale, partecipa alla battaglia di Vittorio Veneto (dove si distingue e viene promosso a sergente maggiore) ed è poi smobilitato nel ‘19 per ragioni di salute. Già in gioventù matura la sua adesione al movimento anarchico, che lo accompagnerà sempre. Nel ‘21 è istruttore e capo degli Arditi del popolo: indiziato per l’omicidio del fascista Maserati emigra in Francia (‘24) e partecipa al movimento delle Legioni Garibaldine, rimanendovi per qualche tempo anche quando gli altri anarchici se ne saranno andati: Farà lo stesso in Spagna, dopo la stalinizzazione delle brigate combattenti, a dimostrazione di una tendenza ostinata a ricercare prima le ragioni dell’unità , della sintesi, piuttosto che quelle della divisione. Ecco un’altra grande lezione, che le forze progressiste del nostro paese purtroppo non hanno ancora saputo o voluto imparare. Nel ‘27 rientra a Piacenza e viene arrestato, espatria poi clandestinamente nel ‘28 in Francia, dove riprende l’attività di militanza anarchica sempre in contatto con l’italia.Nel 1936 va a combattere in Spagna, in Aragona, e dopo gli scontri fratricidi di Barcellona rimane comunque a combattere, entrando nelle Brigate internazionali, e abbandonerà il paese solo nel ‘37 perché ferito. Di nuovo in Francia, nel 1940 viene arrestato dai nazisti e internato nel campo di concentramento di Hinzert , poi tradotto nel ‘in Italia e mandato in confino a Ventotene.

Alla caduta del fascismo, come tanti altri anarchici, non viene liberato ma tradotto nel campo di Renicci di Anghiari, da cui fugge soltanto dopo l’8 settembre 43.Inizia da qui la nostra storia, quando Canzi è già un uomo di cinquanta anni, ed ha attraversato guerre, prigionia, esilio e carcere, inflitto non ultimo da parte del governo Badoglio che avrebbe dovuto essergli liberatore. Chi di noi non si sarebbe a quel punto sentito legittimamente stanco, e disilluso? chi non avrebbe avuto la tentazione di proteggersi, finalmente, e pensare a se? Canzi, invece, appena rientrato a Piacenza sale in montagna, a Peli di Coli, promuovendo la costituzione della prima formazione partigiana della provincia e partecipa pure attivamente alla costituzione del CLN provinciale. In dicembre la prima formazione partigiana si sbanda a seguito di un rastrellamento, ma Canzi continua la sua attività cospirativa; arrestato dai fascisti il 14 febbraio 1944, è liberato in maggio grazie a uno scambio di prigionieri e nelle settimane successive riceverà l’incarico dal CLN Alta Italia di unificare le formazioni partigiane in un comando unico, che si costituisce in agosto.

Canzi diventa così comandante della XIII zona, con il nome di battaglia di “Ezio Franchi, unico esempio in Italia di Comandante di zona anarchico. Sarà un buon comandante, di cui tutti i testimoni indipendentemente dall’appartenenza politica ricordano l’onesta intellettuale, la dedizione, e soprattutto la grande umanità. Ed e’ difficile per l’anarchico Canzi tenere le fila del Comando unico, la cui azione risente delle tendenze autonomistiche delle diverse formazioni partigiane, ma soprattutto degli effetti dei rastrellamenti estivi e invernali realizzati dall’esercito tedesco. Canzi opera continuamente per contenere le tensioni esistenti tra i comandi partigiani e i vari livelli politici della Resistenza, ma i suoi sforzi non gli impediranno di cadere vittima di quella conflittualità che aveva cercato di contrastare.

Dopo il grande rastrellamento invernale del 44-45, infatti, si apre profonda la crisi del comando partigiano piacentino: la posta in gioco è il conflitto ed il difficile equilibrio tra le diverse componenti politiche della Resistenza.E’ in questo quadro che è messo in discussione il ruolo di Canzi, che da molti è visto come il punto debole del Comando, non rappresentando egli alcuna forza politica organizzata, ma potendo contare solo sulla propria storia personale di coerente antifascista. Ed e’ cosi’ che il 20 aprile 1945 un gruppo partigiano, guidato da ufficiali comunisti, circonda il comando e arresta Canzi e i suoi collaboratori.
Trattenuto nella casa di un militante comunista a Bore di Metti, è liberato da un altro reparto partigiano, e partecipa come “semplice partigiano” ai combattimenti per la liberazione di Piacenza.Dopo la liberazione, nonostante le forti tensioni tra le formazioni e i partiti antifascisti, Canzi è eletto prima segretario e poi presidente dell’ANPI, quindi rappresentante unico dei partigiani nel CLN provinciale; viene poi reintegrato nel suo ruolo di Comandante unico, con il grado di colonnello.
Nei pochi mesi che gli restano da vivere si impegna a fondo nel lavoro di organizzazione, assistenza e direzione dei partigiani piacentini nella convinzione sempre ribadita che fosse necessario deporre gli “odi di parte” e operare per una effettiva ricostruzione morale e materiale del paese. Canzi riprende anche il suo posto anche nel movimento anarchico, ma viene fermato poco dopo da una fine beffarda: investito da una camionetta dell’esercito alleato il 2 ottobre ‘45, gli viene amputata una gamba, ma muore di broncopolmonite nell’ospedale di Piacenza il 17 novembre 1945.Così finisce la vita del partigiano Ezio Franchi, , e ci consegna anche un’altra lezione, stavolta decisamente amara: la nostra Resistenza si compie vittoriosamente sì, perpetrando però una manifesta ingiustizia, in ossequio agli equilibri politici tra le parti. Nella scelta di destituire Canzi, purtroppo, si vedono già chiaramente le radici del tatticismo politico, della realpolitik, che freneranno lo sviluppo civile e morale di una nazione appena nata.

Ha pagato il prezzo della sua specificità, della sua coerenza, l’uomo e il partigiano Canzi, e quello che noi tutti insieme abbiamo fatto e stiamo facendo per ricordarlo e’ quindi anche una doverosa restituzione. Canzi era un uomo d’azione, non un teorico. Credeva nel dialogo e sapeva parlare con ciascuno, dai semplici contadini ai decisori politici. aveva un’idea molto avanzata di autodisciplina partigiana, che cercò di trasmettere alle persone con cui si trovò a lavorare e combattere; era una persona realista, paziente, perseverante. Era soprattutto un uomo profondamente umano: si preoccupava dei prigionieri, di incoraggiare i più giovani, di evitare violenze e ingiustizie. Anche alla fine della vita, come ricorda la figlia in una memoria, ebbe un pensiero umano verso gli altri e volle regalare i pochi soldi che aveva agli infermieri che lo curavano. Per queste sue caratteristiche fu poco compreso e messo poi a margini in ambito politico, ma proprio per questo fu amato invece dai cosiddetti ‘semplici’ (che notoriamente in materia di valore umano capisco molto di più degli intellettuali più raffinati), dalla ‘sua’ gente di queste montagne che ha vissuto sempre ricordandolo con affetto, e che ci ha saputo insegnare a vederlo con i loro occhi.

Queste cose per noi non sono storia scritta, le abbiamo viste e sentite direttamente. Ed è’ per queste stesse caratteristiche che Canzi e’ diventato così importante anche per noi:- perché ha saputo attraversare tempi difficilissimi e senza perdere la sua umanità e la sua bussola politica- perchè ha praticato la coerenza tra pensiero e azioni pagandone le conseguenze perchè ha saputo parlare a tutti, senza perdere un briciolo della sua identità e specificità.

Ecco perchè i giovani dell’ANPI hanno legato tanto intensamente la loro partecipazione e il loro impegno a Canzi: perché sono insieme gli affetti e la ragione, in perfetta sinergia, che richiamano alla sua figura e al suo operato .E proprio affetti e ragione congiunti ci servono per portare avanti una nuova Resistenza: empatia, compassione, senso di giustizia, e insieme capacità di leggere la realtà contemporanea, di stare in posizioni scomode quando e’ necessario. Che differenza dagli esempi che riceviamo oggi! Che abisso incolmabile, se pensiamo al balbettio imbarazzante della classe politica italiana in questa momento, alla sua assenza di riferimenti politici e morali chiari e coerenti. In questo momento, dove si pratica la parodia tragicomica dell’unità, dove gli oppositori politici di sempre si sono seduti al medesimo scranno di potere e nonostante la pretesa di farlo per il bene dell’Italia non hanno saputo ancora dare una sola risposta seria, concreta, credibile, ai problemi terribili della nostra comunità. In questo momento come non mai ci è necessario l’esempio di Emilio Canzi:- per ricordarci che l’unità si costruisce su presupposti di una umanità condivisa, di una speranza comune di futuro, non per preservare logori equilibri di potere che coinvolgono e beneficiano pochi, anzi pochissimi italiani.- per ricordarci, anche, che l’identità non esclude la capacità di sintesi e di dialogo, anzi, è proprio dalla propria identità che si parte per trovare insieme agli altri una lingua e una strada comune. Sono gli affetti insieme alla ragione l’eredita’ che ci consegna il partigiano Canzi, il progetto politico che non deve mai essere separato dalla primaria preoccupazione delle donne e degli uomini in esso coinvolti, la concretezza che deve prevalere sulla teoricità autoreferenziale delle posizioni, la capacità di pensare prima e costruire poi una comunità di diversi e di uguali. e, come sfondo mai messo in secondo piano, la considerazione dell’umanità propria e degli altri.

E noi abbiamo l’ambizione di dare questo contributo all’ANPI: vogliamo impegnarci guidati dagli affetti (memoria-rispetto-empatia) e dalla ragione (consapevolezza delle sfide, di ciò che serve oggi, della necessità di fare politica), senza rinunciare a nessuno dei due. Vogliamo attualizzarla veramente questa memoria, che è diventata parte delle nostre storie personali … è memoria viva,perché influenza il nostro modo di vivere, quello che facciamo ogni giorno … Questa è la nostra idea, e questa vuole essere la nostra prassi di resistenza: ricordare perchè e’ semplicemente giusto e doveroso è ammirevole ma non basta, perchè non cambia il nostro modo di essere. Ricordare per amore dell’esattezza e della ricostruzione storica dei fatti è senz’altro un aspetto prezioso e importante di un lavoro specifico e settoriale, quello degli storici, ma non e’ ciò che a noi interessa.

Noi ricordiamo per dare a noi stessi un orientamento morale e politico, ricordiamo perche ci interessa resistere oggi. E sono molte le cose che richiedono la nostra resistenza, nell’Italia di oggi:i nostri anziani non hanno combattuto per fare un paese dove il 10 % della popolazione detiene il 55% della ricchezza, non e’ questa l’Italia della Costituzione. Non si e’ fatta la Resistenza per dare ai giovani un mondo del lavoro fatto di micro-contratti, di stages gratuiti, di totale assenza di prospettive e dignità lavorativa: la Resistenza ha ottenuto una Costituzione in cui all’articolo 1 campeggia l’incipit che la “Repubblica e’ fondata sul lavoro”. Che cosa e’ diventato oggi l’articolo 1? l’Italia e’ una repubblica fondata sul lavoro nero e sul precariato. Questo e’ semplicemente un tradimento delle aspirazioni partigiane, e dunque un motivo urgente e valido di nuova resistenza.

Non hanno fatto, i partigiani, la lotta in montagna per consegnarci una società che odia e accusa i più deboli, chi compie scelte personali e sociali non condivise dalla maggioranza. L’hanno fatta per consegnarci un’Italia giusta, e noi oggi siamo arrabbiati, siamo molto arrabbiati, perchè l’Italia e’ sempre più ingiusta, e perché chi ci governa non ha pudore nel raccontarci favole che nemmeno il più tonto e ingenuo dei bambini potrebbe credere: ci dicono di volere la pace, e comprano gli F35, ci dicono che ci vuole equità’, e difendono i privilegi più schifosi dei potenti, primo tra tutti il privilegio di delinquere e poter poi pretendere di non essere giudicati.Non e’ più, questa, l’Italia di speranza e di futuro nata dalla Resistenza partigiana: ma quell’Italia possiamo riprendercela, ricostruirla con la nostra comune e quotidiana resistenza.

Buona resistenza a tutti noi, allora, e prendiamoci un impegno serio di fronte alle spoglie del partigiano Emilio Canzi: noi non dimenticheremo, andremo avanti, noi continueremo a resistere.

Manuela Bruschini – COMITATO ‘COMANDANTE MURO’, A.N.P.I. PIACENZA

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